Da sempre gli esseri umani hanno descritto quello che succede e quello che provano attraverso le arti: dall’età della pietra a tutto ciò che ci sarà dopo di noi, continueremo a interpretare quello che viviamo grazie alla nostra immaginazione.
L’arte è uno dei codici interpretativi di un popolo: ci fa conoscere le convinzioni di quel popolo. L’arte è inoltre uno strumento di potere come un fatto collettivo e non calato dall’alto.
Al di là dei gusti e della sensibilità che ognuno di noi ha, vorrei porre la vostra attenzione su alcuni esempi di come le arti sono l’espressione che meglio descrive la nostra storia di popoli e il nostro desiderio di incidere sugli eventi.
Iniziamo dalla forma più astratta e cioè la musica.
In pieno Risorgimento italiano, non solo per cultura ma anche come svago si andava a teatro a vedere le Opere, inventate in Italia nel Seicento ma che con Giuseppe Verdi (1813-1901) diventano talmente famose da essere canticchiate perfino nei campi fra i contadini. Nell’Ottocento quando l’Italia era sotto diversi domini stranieri, si usava scrivere sui muri “W V.E.R.D.I.” con l’intenzione non solo di omaggiare il compositore, ma anche per sottintendere la frase “Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia”, di chiaro intento rivoluzionario.
Quindi ascoltare e cantare Verdi, scrivere furtivamente “W Verdi” era espressione di potere del popolo italiano.
Adesso facciamo un salto e andiamo al dipinto di Salvador Dalì del 1931 chiamato “La persistenza della memoria”.
Si dice che l’artista fu ispirato dallo sciogliersi di un formaggio per descrivere il pensiero filosofico dello scorrere del tempo. È stato un anticipatore rispetto al concetto del sociologo e filosofo Zygmunt Bauman (1925-2017) quando afferma: “una società può essere descritta liquido-moderna se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. La vita liquida, come la società liquida, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo”.
Pensate alla fase di transizione egemonica che stiamo vivendo: gli americani, i tedeschi, i francesi, non sanno più bene chi sono e cosa vogliono, a volta in preda agli eventi e alle loro depressioni in cui “il tempo è fuori tempo”, parafrasando l’Amleto di Shakespeare. I vincoli che ci tengono insieme a loro si stanno sciogliendo come questi orologi.
Di nuovo l’arte come espressione di potere dal basso.
L’ultima suggestione che voglio lasciarvi è del film “La vita è bella” di Roberto Benigni del 1997, che vinse l’oscar come miglior film straniero.
Un film insieme drammatico, storico, comico, romantico, che mostra il nostro modo di essere e di ricordare gli eventi. Bisognerebbe rivederlo con gli occhi di quello che sta succedendo in Medio Oriente dopo il 7 ottobre 2023, per orientare le scelte geopolitiche degli Stati coinvolti.
La bellezza in ultima analisi non salverà il mondo ma contribuisce sempre alla sua conquista.
Cosa ne pensate?